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Chiesa della Santissima Trinità

Padri Agostiniani | Comunità di Viterbo

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La chiesa della SS. Trinità e l’antico affresco della Madonna Liberatrice in Viterbo.

30 Marzo 2020 // Agostiniani Viterbo

Nessuno attraverso i secoli è stato in grado più di Maria di Nazareth di sensibilizzare le corde del sentimento umano e di stimolare la creatività degli artisti di ogni epoca e di qualunque genere. Da tale modello sacro deriva infatti una vasta e diversificata quantità di immagini che determinano molto spesso una suddivisione piuttosto articolata in ambito artistico, ma i pittori di ogni epoca sono stati in grado di esaminare questa tematica con certezza, poiché anche l’intuizione creativa ha spesso saputo cogliere il Mistero. L’origine e la diffusione del culto tributato alla Madonna risale in particolare all’Editto di Teodosio, esattamente al Concilio di Efeso del 431, che ne dichiarava la divina maternità. Theotokos, (fig. 1) ovvero la Madre del Figlio di Dio, è dunque il titolo strettamente teologico attribuito ufficialmente a Maria, ma affermatosi nella devozione del popolo cristiano già a partire dal III secolo, attraverso il quale la Vergine Santissima è riprodotta seduta in trono, ieratica, che sorregge con una o due mani il Figlio rivolto verso l’osservatore. La Madonna col Bambino diviene un motivo ripetuto: tanto la committenza quanto la destinazione di un’opera hanno condizionato il soggetto simbolico che poteva essere rappresentato tramite un’impronta più intimistica o più formale.

L’arte occidentale possiede una ricchezza appassionante riguardo il tema mariano, che si traduce maggiormente all’interno di chiese, di gallerie espositive o nelle pinacoteche e tutto ciò attesta come l’umanità intera sia veramente innamorata della Vergine in un continuo susseguirsi di raffigurazioni che la celebrano e la esaltano. Dal Trecento, le varie interpretazioni riferite a tale culto, in particolare in Italia, sono state poi sviluppate nelle tradizioni locali di ogni tempo; in questo inizio di secolo, oltre alla pregiatissima scuola di Giotto, se ne formano altre, altrettanto piene di vitalità e tutte vengono influenzate dalla nuova aura pittorica del maestro fiorentino che abbandona gli schemi classici rivoluzionando il mondo dell’espressione figurativa. (Fig.2) Anche Viterbo e i suoi dintorni accolsero in modo apprezzabile le nuove configurazioni artistiche di derivazione toscana che esprimevano una rielaborazione iconografica del tema sacro.

 Nella chiesa agostiniana della SS. Trinità di Viterbo, nota come l’antico santuario mariano cittadino, è conservato un brano pittorico che costituisce una delle pagine più avvincenti sotto il profilo devozionale. Il 28 maggio 1320, come riferito da numerosi cronisti locali dell’epoca, la città di Viterbo fu infatti salvata per intercessione dell’Augusta Regina da eventi funesti, caratterizzati da forti scuotimenti di terra e oscuri segni nell’aria che avevano atterrito la popolazione. Tutta la città si radunò ai piedi della Corredentrice, implorandone protezione e immediatamente la preghiera fu accolta. Nella cappella del transetto destro, al centro della muratura arricchita da marmi e fregi lavorati, è inserito dal 1680 una sezione di affresco, distaccato dalla collocazione originaria, che rappresenta con fine delicatezza la Santa Madre,invocata in seguito come Madonna Liberatrice, (Fig. 3) venerata ancora oggi con vivo affetto dai cittadini. La prodigiosa immagine, racchiusa da una ricca cornice dorata con raggi sfolgoranti, è presentata frontalmente, una maternità maestosa e devota in un’atmosfera di mistica solennità.

La Madonna è seduta su un trono a decorazione cosmatesca, nell’atto di sostenere il Bambino che stringe nella mano sinistra un cartiglio, il rotolo delle Scritture, simbolo del potere divino. La Vergine, avvolta nel manto blu notturno, sotto al quale si trova un leggero velo bianco che le incornicia il volto, reca nella mano una rosa che offre al Figlio e le stelle dipinte sulla fronte e sulla spalla destra ne esprimono l’integrità verginale. Due angeli a mezzobusto in alto fiancheggiano la rappresentazione, conclusa superiormente da una ridotta sezione di cornice policroma. La composizione è opera di due artisti itineranti, Gregorio e Donato d’Arezzo, continuatori della tradizione giottesca. Il linguaggio pittorico lega marcatamente l’esecuzione della Trinità alla Madonna con Bambino in trono con storie di Sant’Anna e San Gioacchino nella cappella Ubertinidel Duomo di Arezzo, realizzata intorno al 1320, soprattutto nella figura di Maria e degli angeli, mantenendo i medesimi tratti distintivi, tanto da far ipotizzare che la versione aretina sia la continuazione di quella viterbese. (Fig.4) Nella Tuscia, l’attività dei due artefici si sviluppa prevalentemente tra il 1315 e il 1320 e ciò ha permesso di ipotizzare una possibile definizione cronologica del dipinto di Viterbo intorno al 1318-19.

Il potere comunicativo, peculiare della miracolosa effigie viterbese, trasmette ancora oggi, dopo settecento anni, la percezione di una vicinanza della Santa Vergine al suo popolo, la quale continua a presentarsi come amica, madre, sorella al punto che nessun individuo, neppure il non credente, possa eludere il fascino di questa straordinaria figura.

Didascalie delle immagini:

Fig. 1  Theotokos di Vladimir. Galleria Tret’jakov Mosca, autore ignoto (sec. XII)

Fig. 2  Madonna in trono col Bambino circondata da Angeli e Santi. Palazzo Pubblico, Siena. Simone Martini (1312-1315) part.

Fig. 3 Madonna Liberatrice. Chiesa della SS. Trinità, Viterbo. Gregorio e Donato d’Arezzo (1318-1319).

Fig. 4 Madonna con Bambino in trono con storie di Sant’Anna e San Gioacchino. Cappella Ubertini, Arezzo. Gregorio e Donato d’Arezzo. (1320 ca.).

  • Figura 1
  • Figura 2
  • Figura 3
  • Figura 4

Archiviato in:VII centenario della Madonna Liberatrice

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